romagna arte e storia

Rivista di cultura

 

Ferruccio Farina

DONNE, VIRTU’ E PECCATI TRA TERRA E MARE DI ROMAGNA

Tipi e stereotipi nei racconti di Michele Campana

Ras n. 81, a. XXVII, 2007

 

Negli anni trascorsi, sulle pagine di questa rivista, sono apparse numerose testimonianze riguardo alle radici degli stereotipi che hanno determinato la fama attuale della Riviera romagnola nell’immaginario collettivo. Radici antiche che, quasi sempre, hanno avuto come protagoniste le donne: dai bagni di mare terapeutico-amorosi di Elisabeth Kenny, prima straniera nella storia del turismo riminese, agli austeri bandi del Governatore per tener femmine e maschi distanti tra loro in spiaggia e alle immancabili trasgressioni ai suoi divieti; dalle predicazioni igienico-ludico-erotiche di Paolo Mantegazza, agli eventi spettacolar-mondani e al fascino esercitato spiaggia e mare su dive e divette della belle epoque[1]. Donne rappresentate e sentite, quasi sempre, e quasi da tutti, come strumento di seduzione e di perdizione. Talvolta causa di peccato, talvolta doveroso premio agli eroismi della supremazia mascolina.

S’è già citato anche Michele Campana che, con il suo "Danze di fronte al mare" del 1931[2], aveva costruito una sorta di guida eroico/poetica di quella Riviera romagnola sentita e descritta come tempio della lussuria ai cui tentacoli anche un uomo temprato dalla salda fede fascista avrebbe faticato a resistere. Una Riviera che, comunque, per la sua romagnolità e per essere stata scelta dal Duce per i riposi marini della sua famiglia e della sua amante, aveva in sé anche il gene della rigenerazione e del riscatto.

Una Riviera che Campana riprende a descrivere nel suo racconto “Sotto il sole di Rimini” del 1939[3], ambientandovi tutti i luoghi comuni possibili in fatto di etica e di retorica fascista, di sentimento popolare, di fede politica e religiosa. Facendone il terreno di incontro e di scontro dei suoi personaggi e delle contraddizioni loro e dei tempi. Personaggi e sentimenti ai quali Campana non esita a dare ben definita collocazione, anche geografica: il buono e il sano hanno le loro radici nella terra, nel rude appennino che ha dato i natali al Duce; il cattivo, il peccato e la lussuria allignano là, sulla Riviera dagli ammalianti e perfidi bagliori.

Ma, oltre ad offrirci gustosissimi quadretti romagnol-fascisti scritti con buona penna, il racconto di Campana, a distanza di quasi un secolo, diventa un documento prezioso per comprendere lo stato della fama di un luogo che, in quegli anni, stava mutando profondamente e sempre più velocemente la sua dimensione geografica, economica, culturale e sociale, e che stava per dare l’avvio a quell’esplosione quantitativa che caratterizzerà gli anni Cinquanta e Sessanta nei quali diventerà, nella percezione dei vacanzieri europei, la grande metropoli della divertimento.

 

Una Riviera della quale Michele Campana aveva già capito le due anime e la sua capacità di rinnovare il suo miracolo due volte all'anno:

"... in quella mattina del giugno 1935 (e son trascorsi sette mesi dalla notte della tempesta) soffia sull' Adriatico un vento di frescura che sospinge innanzi sul turchino nuvolotti bianchi; e quando il vento sosta, arrivano invece dalla pianura di Romagna, tutta d'oro per i grani maturi, vampe di caldo. Il sole brucia. Si sente la necessità di accostarsi al refrigerio della marina. La spiaggia è popolata dai primi bagnanti. Se ne vedono i corpi nudi intorno alle file delle baracchette di legno dai colori vivacissimi. Altri sciabordano già nell'acqua. Sul piazzale a Mare e nel parco del Casino" - quello che prima delle manie di Mussolini si chiamava Kursaal - "operai si affaccendano intorno alle aiole. C'è febbre di preparativi; si rinnova, si rinfresca, si danno i ritocchi agli abbellimenti, come per il vestito di una dama che si rechi alla festa. Rimini si trasforma. Dal silenzio, quasi estatico dell'inverno e della primavera, sale pian piano all'animazione, al trambusto della estate; fra qualche settimana la marina sarà un baccanale di tripudio. Curioso destino di queste città dalla duplice vita. Chiuse nei loro eventi provinciali per otto o nove mesi dell'anno, diventano all'improvviso negli altri due o tre mesi popolatissime come metropoli".

 

IL Kursaal di Rimini, il piazzale e la fontana. Anni Trenta.

 

Rimini, metropoli del piacere, quindi, che rende possibile quel liberatorio abbandono della normalità che già Campana aveva ben descritto in "Danze di fronte al mare".

"La stranezza dei colori e dei costumi, il desiderio di godere, i corteggiamenti e qualche volta anche le baldorie, per cui la vita di mare ha sostituito in gran parte i divertimenti dei carnevali di un tempo, danno un tono di libertà precoce. Le donne vestite a mezzo, sembrano colpite da un cataclisma che ha loro calato le vesti sotto la cintola, portando a strascico fra i piedi quel che dovrebbe coprir loro le spalle e la schiena; i maschi non son da meno poiché si presentano o nei pigiama, oppure indossano quei giubbetti candidi che li trasformano in angiolini. L'orchestra a bombo si diletta di languori e di lagni, intramezzi da picchi, tintinnii, guaiti, e dai versi di tutti gli ani­mali dell'arca. La confusione, fra i gridi, gettiti di fetuccie, pallottoline e palloncini, dà più che mai il senso della festa carnevalesca, fra luci irreali e colori stridenti. ... Ma qui, nel Circolo dell'Ambasciata, per l'ampiezza e la bellezza del luogo, per la qualità degli invitati, per lo scopo benefico, la festa si mantiene nei limiti di un'aristocratica compostezza. Gli alberi secolari formano con i loro tronchi e con le loro forze una cupola di un tempio; luci fra i rami mandano irridescenze; sotto la cupola è la rotonda pista del ballo, attorno a cui in una corona di letizia, sono i tavoli infiorati; e ai tavoli uno sfolgorare di dame, con la nudità degli scolli, col brillio dei gioielli, col sussurrare di gentilezze fra inviti ed inchini. Camerieri bianchi costituiscono le spole di questo ordito di ele­ganze che intreccia file di tintinnii e di luci. … Ballerine ungheresi alternano minuetti con musica di Boccherini e di Mozart a danze su ritmi di Brahams e di Dworak. Ad intervalli un'orchestra invia, come da una lontananza, le note del ballo. Le coppie lasciano i tavoli, s'intrecciano, ondeggiano, si avvolgono sulla pista, lievi, in un vortice di forme, di veli, di sete, capelli, visi, occhi, gioielli."

 

Ma a Rimini e sulla sua Riviera, però, non ci sono solo aristocratiche iridescenze e raffinati gaudenti.

"I bagni popolari, che la gente chiama pittorescamente "la Cina", sembrano un accampamento, irto di pennoni con bandiere al vento, con le lance di un bivacco di cavalieri antichi. E' attorniato da un formicolare di folla. Mandolini, chitarre, fisarmoniche, ocarine, pifferi, nacchere, battono qui e lì i ritmi delle canzoni e dei balli. Le ragazze e i giovinotti volteggiano sulla rena a coppie e i bimbi rincorrono con guizzi di saette, che tagliano in tutti i sensi la spiaggia. I più anziani fumano e ciarlano all'ombra dei tendaggi. Gran gioia di popolo, il quale non ha altre preoccupazioni che godersi la salute di questa li­bertà di sole e di mare...".

 

Adolfo Busi, illustrazione per la pubblicità per la Riviera di Rimini. Anni Trenta.

 

Regina della situazione è sempre lei, la donna, che mare e spiaggia sanno esaltare in tutta la sua bellezza e in tutte le sue virtù.

"Lia dal cancello della villa attraversa in fretta il Lungomare, affollato di passanti e di automobili, scende sulla spiaggia, meravigliosa di gente e di colori, raggiunge il capanno, si to­glie con rapidità la veste, si acconcia la cuffietta a protezione dei capelli, risponde appena con un gesto agli inviti ed ai sa­luti delle vicine; ed eccola, nel rubente costumino da bagno buttarsi incontro la mare; pochi salti fra un gisguazzo di spruzzi alti, il tuffo dentro l'acqua, uno strillo e poi il nuoto rapido, preciso, tenace.

Alcuni la osservano dalla riva. Per un pò si vedono le braccia emergere a ritmo fra le spume e si intravvede il rosso del costume disegnarsi, come uno strano crostaceo sanguigno, sotto il velo oscillante dell'acqua; poi ella non è che un punto rosso, la cuffietta che galleggia fra gli scintillii delle onde, un puntino sempre più piccolo che apparisce e sparisce fra i cirri.

A bracciate sicure Lia si porta laggiù, laggiù alla punta del molo; si attacca alla scogliera e con elasticità riemerge dal mare. ... E' lustra d'acqua e di sole. Le sue membra danno guizzi, la sua figura alta e perfetta si staglia contro l'azzurro. I bagnanti che a coppie passeg­giano sul molo si volgono a guardarla. Ella lascia dietro di sé una scia di ammirazioni. Giunta al punto in cui il molo si riattacca alla spiaggia, balza dai massi e raggiunge la rena, dove questa e più soda e si cammina meglio, vicino all'inarcarsi del riflusso.

Subito si scrolla e riprende il cammino sulla rena con più melanconia, in quella spiaggia così ampia, così fine, così popo­lata, che è tutto un tripudio. Arrivata davanti al suo capanno si adagia sulla sabbia e, formando un guanciale delle mani con le dita a treccia, stende e stira il corpo al bacio del sole. Non pensa più a nulla, anzi non vuol pensare più a nulla. Si immerge per più ore in un nirvana di dolcezze, che è un sogno ad occhi spalancati verso il turchino del cielo.

In fondo chi è più felice di lei?"

 

No! Lia non è felice. Non può essere felice una femmina che per preservare la sua bellezza e la sua gioventù rifiuta di pro­creare, nonostante le insistenze del bravo marito e chissà con quali accorgimenti. Non sono più tempi in cui si può essere felici rifiutando se stessi alla vita.

 

Ed ecco i personaggi del romanzo:

Baccio Guerri, possidente riminese, ex ardito, con grande villa sul lido; Lia De Fiori, sua moglie, donna bellissima a cui l'età non fa che conferire fascino e splendore; Casimiro Bacini detto Mirino, altro possidente riminese, seduttore di profes­sione in servizio permanente tra Kursaal e spiaggia; Andrea Tarsi, attendente in guerra, poi fedele autista e custode della casa e delle intimità del sig. Baccio; Tattinge, bella straniera dal passato misterioso; Ameride Bellini, maestrina di Tredozio.

 

Ed ecco la vicenda. Lunga, intensa ed appassionata vicenda.

Lia, ama ed è riamata da Baccio, ma .. manca a se stessa e fa mancare al suo uomo e alla Nazione la linfa vitale, non vuole figli. Orgoglio, vanità ..., ma anche  se "le balzano incontro le gioie delle corse sull'automobile, i trionfi ai raduni, le cavalcate, le gite in barca, le ebbrezze sui motoscafi taglianti il mare con un urlo, i balli, i teatri ... in questa vita gioconda e sfarzosa di Rimini"....ama suo marito. Lia non vuole essere mamma ma è fedele. E' una delle poche belle donne riminesi che non ha ceduto alle proposte di Mirino.

 

Non tutto, sotto il sole di Rimini, è luce e gioia.

"Tutta la spiaggia si colorisce di rosa ai riverberi del sole. Lamine metalliche, con riflessi di fiamma, oscillano per la distesa dell'Adriatico al rabbrividire delle onde sotto la sera. E' l'ora in cui, cadendo quella gran forza che è la luce" - la stessa ora che ai naviganti intenerisce il cuore - "qualche cosa si affloscia in ognuno di noi, misteriosamente. E' il momento in cui tutti i giorni noi moriamo un poco. Le nostre energie, proprio per un fenomeno fisico e patologico, si pla­cano; alla volontà si sosti­tuisce la nostalgia. Vien voglia di piangere. Anche il mare, adesso, manda un singulto più proondo della scogliera."

 

E in una di quelle sere che il mare singulta più intensamente, Lia guarda dentro se stessa e sente, sempre più forte,  che c'è una realtà che le sfugge. Inizia ad inseguire un sospetto. Da qualche tempo Baccio, il suo Baccio, è freddo. Forse non l'ama più come una volta, dopo sedici anni di matrimonio.

 

Una sera al Kursaal, in occasione di un ballo indetto dal Fascio di Combattimento a beneficio delle Opere Assistenziali a cui era intervenuta la gente "più eletta di Rimini", Lia si era fatta bellissima e voleva fare follie.

"Tra i tanti moscardini, i milordini della spiaggia che vivono di rendita e di avventure, troneggia Mirino", quel Mirino che inseguiva da anni il sogno di farla sua, a qualsiasi costo.

"La signora mi compiace?" le chiede Mirino durante il ballo.

Proprio in quel momento l'orchestra invia le note di un "valzere" - quello che prima della manie di Mussolini era il valzer - e Lia, benché provi ritegno, inchina con grazia il capo, si alza, prende il braccio del milordino ed entra nel ballo.

"In ogni paese esiste un Mirino: cioè uno di quei giovanotti sfaccendati; scapoli per elezione, che parlano sempre male delle donne e non vivono che per le donne. ... Tutto il tempo della loro giornata, senza scrupoli, riescono a piegare ai loro capricci donne, passando da una all'altra, facilmente tradendo e vituperando. Le donne sanno di che razza sono, eppure ci cascano. Mirino è il modello di costoro... Una sola donna non ha mai ceduto, ... l'ha attorniata per molti anni, l'ha tentata, l'ha cinta d'assedio fino alla noia. - Bisogna aver pazienza, cascherà! diceva. "

 

Il ballo sul terrazzo del Kursaal. Anni Trenta.

 

Mirino, volteggiando nel valzere con Lia, svela all'improvviso, con perfidia degna di una donna, un possibile tradimento di Baccio, dell'integerrimo ed insospettabile Baccio Guerri.

Baccio tradirla? Mirino mente! Mente per invidia!

Mirino deve dire la verità, se verità è, e se Mirino parlerà chiaro e con prove, Lia farà tutto ciò che vorrà.

E Mirino parla. E' tradimento, e non un tradimento qualsiasi: alle Fabbriche, una piccola frazione di Tredozio, c'è una creatura, un bimbo senza padre. Dove si reca il fido autista Andrea tutti i sabati con l'automobile ricolma di doni e di alimenti? Là, dalla creatura.

           

Lia vacilla. Dunque è vero. Baccio la tradisce. E un figlio, un figlio del peccato!

Lia recupera freddezza e determinazione e giorni dopo giunge fino alle Fabbriche e fino ad Ameride, Ameride Bellini.

 

Ameride era nata nella pianura forlivese ed aveva avuto una vita segnata da tristi eventi: il padre, malaticcio, trascinò una vita di sofferenze e morì giovanissimo: la madre l'aveva subito seguito, stroncata dalla fatica.

"Ameride era votata al dolore". Pronta di intelletto e viva di carattere, dopo gli studi in un freddo collegio di suore che l'aveva portata al diploma di maestra, si ritrova sola nella tempesta della vita, confinata in borgo di cinque o sei casupole a cui si accedeva per una strada di fango, lassù, sull'Appennino, a far da mamma a bambini non suoi. Aveva begli occhi ed un corpo regolare, Ameride. Nel novembre del 1935 accadde che Andrea, l'autista di Baccio, aveva raccolto l'invito di un vecchio commilitone per andare a cacciare lassù in cima a quei monti vicino a Tredozio ed aveva convinto il padrone, Baccio Guerri, a seguirlo. Dopo un'allegra giornata tra tordi e beccacce, all'imbrunire, inizia a cadere la neve. Neve, neve, neve... la strada è bloccata, non resta che trovar scampo nella casa più vicina, nella scuola ele­mentare delle Fabbriche.

Ameride, la maestrina, sorpresa, pallida e pensosa, offre agli ospiti imprevisti la casa per la notte.

"- Per una notte..

- Staremo benissimo, siamo soldati ...  "

           

Nell'appartamentino della maestra che odora di calce e di vernice si cena con la caccia predata durante il giorno ed incominciano le confidenze.

Ameride chiede notizie del mondo esterno, così lontano dalla sua scuola sperduta. Sente parlare di mare, di colori, di musiche, di balli e di sole, del sole di Rimini.

Baccio, da signore qual era, "dimostra ogni premura alla giovine e si stabilisce un'intimità lieta."

Ameride si sente presa da una cortesia a cui non è abituata e racconta la sua vita tra i monti, ed il suo amore per i bambini, unica gioia in quell'isolamento. E racconta del suo sogno impossibile, di un cavaliere che venga a rapirla per donarle una vita ricca di bimbi e di gioie.

"- Danno tanta gioia i bambini".

Tasto delicato per Baccio.

           

Giunge l'ora del riposo e a Baccio, come ospite, spetta la camera di Ameride che l'accompagna con un candeliere. - "Ma questo è un paradiso", afferma lui sdraiandosi sul lettino lindo e profumato.

Mentre lei si sofferma a raccogliere le sue cose da toeletta, lui la osserva in ogni atto e, mentre lei, resa ancor più bella dalla tremula luce della candela, si avvicina per salutarlo ed augu­rargli la buona notte, lui, quasi senza accorgersene, le prende la mano...

"- Perdonatemi signorina.., poi..." poi in uno scatto si alza e l'abbraccia.

           

Lei trema e si divincola in una difesa ormai impossibile.

Baccio sente che il tentativo di difesa si fa sempre più debole, e la stringe di più.

"Le membra di lei vibrano accanto alle sue, e ..." è notte fonda.

 

Alla mattina la bufera è passata, le vette dei monti splendono di rosa per il sole che sorge "e cè una vastità di limpidezza della cose."

 

Ameride, nei preparativi di partenza di Baccio, canta nenie montanare.

"- Dobbiamo lasciarci," dice Baccio

"- Lo sapevamo anche prima", risponde Ameride

"- Tornerò", ancora Baccio,

"- Non mi creo illusioni, non posso, non desidero di più, conosco il tuo stato", Ameride

"- Sei tanto buona

- Il sogno è divenuto realtà. Per poche ore soltanto. Adesso vivrò nel ricordo".

 

Appena tornato a Rimini Baccio invia ad Ameride un fermaglio d'oro con un rubino nel mezzo, rosso più della passione e del sangue. Poi è ripreso dalle usuali faccende, dagli amici, dalla sposa, dagli svaghi.

 

Adolfo Busi. Bozzetto per illustrazione pubblicitaria della Riviera di Rimini. Fine anni Venti.

 

Il tempo passa e l'episodio delle Fabbriche di Tredozio scompare nel fondo della memoria.

Quando sembra che tutto sia morto, sette mesi dopo, nel giugno 1935, ....a Rimini, in viale Vespucci, incede una donna, non certo elegante, piuttosto impacciata, che muove incontro a lui, Baccio Guerri.

"Ha un abito scuro piuttosto largo e disciolto alla vita, un cappelluccio sbilenco nel modo di chi non è troppo abituato a portarlo. Sul petto porta un fermaglietto d'oro con un rubino che sembra una brace. "

 

E' lei, Ameride. A Rimini.

"- Mio dio! Com'è cambiata in sette mesi.."

Sette mesi ... Baccio intuisce subito la verità e "un brivido gli guizza per la vita..."

Ameride, a stento riesce a parlare

"- Un minuto, un minuto soltanto. Poi me ne andrò per sempre. Ho da dirti una cosa grande! Oh, non temere, non sono venuta per chiedere e nemmeno per tradirti. Conosco il tuo stato. Ho compiuto soltanto un dovere...."

Baccio si sente colpevole dinnanzi alla nobiltà di questa persona....

"- Non dovevo annunciarti io, io sola, la vita nova?

Lo educherò all'amore di un padre che forse non tornerà mai. Non chiedo aiuti, ma qualche volta pensa all'innocente che ti appartiene che io alleverò nel ricordo, poi, quando verrò a mancare, cerca di non abbandonare nella strada il nostro sangue."

 

Baccio, turbato, conclude l'incontro:

"- Non dimenticherò né te né la nostra creatura. te lo giuro ai piedi della croce Santa."

Una notte d'amore, una notte che ha lasciato il segno, un forte segno indelebile in molte vite.

"Sventura! Ma sventura non c'è in una vita che sboccia nel sole, Baccio deve anzi interpretare il caso come una vendetta del destino che viene a punire la debolezza di non aver saputo all'ombra di una felicità troppo egoistica, imporre la sua volontà a Lia.

 

Ora son padre, son padre anch'io", si ripete sgomento.

Baccio confessa ad Andrea, il fido autista, che si rende disponibile a far da corriere tra un padre ed una creatura lontana.

E il bimbo nasce, il bimbo cresce e cresce bene, con l'amore di una mamma premurosa, anche se sola. Andrea ogni settimana porta il segno di Baccio: vestitini, cibo e, chissà?.. qualche denaro.

"Che inno di poesia un neonato".

           

Quando Lia giunge alle Fabbriche, scopre tutto ed affronta la maestrina:

"- Con quali arti avete avvelenato il sangue del mio sposo?

- La sofferenza è mia, soltanto mia. Sconto da mesi il mio peccato. Vivo soltanto dell'amore del mio bambino. Chi è la cattiva donna, o signora: colei che in un momento d'amore, sia pure in colpa, donò intera la vita, senza secondi fini per il sogno e per la gioia della maternità, o colei che in sedici anni, per il suo egoismo, forse con ogni sorta di artifici contro la sua natura, negò al marito la consolazione della figliolanza?"

Lia abbassa la fronte e torna a Rimini.

           

Contando sulla sua delusione e sulla sua voglia di vendetta, Mirino ritenta con Lia che, dopo l'incontro ad una gara di equitazione, sembra cedere. Mirino, aspetta una sua visita, forse, forse ...  è la volta buona, forse Lia renderà pariglia al marito infedele.

Ma no, anche stavolta il colpo fallisce, la bellissima Lia rinsavisce all'ultimo minuto.

- Perché ?  si chiede Mirino,

"- Perché non siete capace di amare."

Mirino rimurgina una vendetta: ha intravvisto all'ippodromo una donna bellissima che tutti chiamano miss Tattinge - dal nome sembrerebbe tedesca ma i tempi consigliano Campana di farla passare per inglese -  e che alloggia al Grande Albergo, quello che una volta si chiamava Grand Hotel.

Festa sul piazzale del Kursaal. Fine anni Venti.

           

Miss Tattinge il giorno cavalca sui viali della marina, alla notte si trasforma frequentando il Casino Municipale: "si abbandona ai balli ed al giuoco, insomma una spregiudicata stravagante forestiera come tante ne capitano ad ogni stagione dei bagni in Rimini,
- Che donna! Che gran donna!, ripete a se stesso Mirino, constatandone la finezza in tutto, i gusti d'eccezione, i tratti di aristocrazia e specialmente quel suo tono d'imperio che non tollera limitazioni ma è così aperto ad ogni cosa di lusso e di bellezza. Dopo pranzo passano nel salone del Casino Municipale e, quando Mirino al braccio della signora che ha vestito una toeletta da ballo, entra nel bagliore, un mormorio di ammirazione si leva. La signora Tattinge non era infatti mai entrata al braccio di un uomo. Il locale ha quale fasto e quegli abbagli dei ritrovi d'estate dove il senso del posticcio si unisce al gusto di una ricchezza che deve sba­lordire; quindi stucchi, specchi, luci irreali, lampadari iridati, falsi ori, mobili complicati, tappezzerie crudamente colorite. Qui si dan convegno nelle ore più piccine i vitaioli della spiaggia, per ricogliere una chiusura degna della loro giornata; e vi stanno ballerine di Vienna o di Budapest (almeno le presentano tali anche se sono di Gambettola) le quali recano l'incitamento della loro finta allegria. Inoltre vi compaiono sempre, ogni notte, non si sa da dove, eleganti signore sconosciute che si siedono ai tavoli e si danno un contegno; sembrano serie si alzano solo all'invito garbato di un ballo. "

 

E' l'ultimo ballo, il Casino chiude, siamo alla fine della stagione e della vita a Rimini. Tattinge se ne deve andare. Lontano, molto lontano.

"- Una notte d'amore, solo una notte" le chiede Mirino.

Ebbene sì, Tattinge accetta.

"- Questa notte, alla fine del ballo, vi farò cenno. uscirete prima di me dalla sala. Mi aspetterete nel parco. Verrò dove vorrete voi."

Prima una notte, poi due, poi Tattinge si accasa nella villetta di Mirino e tra cavalcate e giuochi d'azzardo si trovano a vivere come due sposini.

 

Nel frattempo Lia e Baccio tentano un chiarimento.

"- Hai un figlio

- Si un figlio, ho peccato, ma t' ho sempre amata. Porgimi una mano Perché mi rialzi

- Impossibile! Io odio quella donna e qual bambino!

- Eppure è mio figlio!

- E' la prova del tuo tradimento e della tua finzione!

- Tu non mi hai mai amato. Tu hai amato soltanto te stessa ed il tuo orgoglio. Ed è perciò che hai rinnegato le leggi della vita."

            Non sembra esserci soluzione.

"          In tutta Italia c'è aspettazione, è la guerra, la guerra d'Africa. Tutti la sentono e tutti la vogliono. A migliaia, a migliaia, come fiumane i volontari accorrono per arruolarsi."

Dopo qualche giorno dalla discussione con Lia, Baccio Guerri torna a casa con un'annuncio :

"- Mi sono arruolato volontario per la guerra, che ci sto a fare io qui?"

 

Pianti, rimpianti. Baccio indossa la divisa da centurione e parte e con lui anche il fedelissimo Andrea che lascia a casa gli otto figli - Alessandro, Benito, Vittorio, Roma, Italico, Rachele, Romano, Arnaldo - che aveva accumulato negli stessi anni di matrimonio in cui Baccio e Lia avevano pensato ad altro.

Il destino, il fatale destino che segna la strada alla giustizia, sembra indicare la via dell'impossibile soluzione.

"Soltanto all'eroe può essere concesso di tagliare i nodi del destino. L'eroe che domina la storia ed apre colla sua passione e col suo sacrificio le vie del futuro, può bene cancellare un errore e da esso anzi creare la luce."

Mentre Baccio combatte il Negus e lo strapotere delle Plutocrazie, accadono un sacco di cose.

 

Ameride, disonorata, con un figlio illegittimo non poté più fare l'educatrice: cacciata ed indicata a dito dalla società tredoziese, aveva dovuto cambiare paese tra umiliazioni e sofferenze indicibili.

Lia si era gettata a capofitto in iniziative benefiche.

Mirino era stato ridotto sul lastrico da Tattinge che s’era scoperto essere una cavallerizza di un circo tedesco fallito trasformatasi in avventuriera e in entreneuse all'Impresa del Casino di Rimini.

           

Laggiù, nelle terre infuocate d'Abissinia, si compiono intanto i destini d'Italia e Baccio, il Centurione Baccio Guerri, si prodiga in tutte le azioni più rischiose. Ma contro il diabolico Negus è dura. Un agguato ordito dai vili abissini in una gola impervia, blocca la colonna di miliziani riminesi guidata da Baccio.

"Si tratta di snidare il nemico e Baccio, com'è costume dei nostri ufficiali, dà l'esempio: gridando Duce!  Duce! si slancia contro il nemico, ma.. sente un urto sul petto." Colpito!

A nulla valgono le premure di Andrea, il fedelissimo, tra le cui braccia spira l'Eroe. All'attendete/autista/miliziano non resta che raccogliere tre schegge di quella terra rossa segnata dal sacrificio del suo signore: una per sé, la seconda per la signora Lia, la terza per il figlio di Baccio.

           

Il dramma è alle ultime battute.

Il Conte Guido Mattioli, Podestà di Rimini ed amico dell'Eroe, porta la ferale notizia a Villa Guerri, là, al cospetto del mare. Ma Lia già sentiva.

E la soluzione, la soluzione a tutto, sembra essersi ormai delineata.

Lassù, tra gli appennini di Romagna, il 26 aprile 1936, in una illuminata giornata di primavera, Ameride spira con in braccio il figlio dell' amore. C'era Andrea con lei: fedele alle consegne, raccoglie le poche memorie della povera donna crepata per stenti e per dolore e porta con sé il piccolo Cino, figlio di Baccio, sul Lido di Rimini, per farlo fratello dei suoi otto figliuoli.

           

Qualche tempo dopo, a mezzo chilometro da Tredozio, in un camposanto di arroccato sui monti di Romagna, c'è una lapide di marmo che porta incisa questa iscrizione:

 

QUI

TROVO' PACE

AMERIDE BELLINI

MAESTRA ELEMENTARE

CHE FU CONSUNTA

A SOLI 24 ANNI

DA UN IMPOSSIBILE AMORE

 

"Ogni anno, il 26 di aprile, la lapide viene sommersa tra i fiori, bellissimi fiori e in abbondanza di prodigio. Nessuno del paese sa chi li invia. Vedono un'automobile fermarsi nelle luci dell'alba, discenderne gente con un bambino carico di mazzi, incedere fino alla tomba, cospargere i fiori e ripartire senza dire nulla. Qualcuno crede, ma non è certo, che sia gente di Rimini.

Nel giugno, quando la spiaggia di Rimini ritorna un tripudio di colori e per quell'ampiezza spettacolosa che va dal molo oltre Miramare, si muovono, fra la vivacità delle baracche, delle tende delle bandiere, delle vele, delle migliaia di bagnanti all'assalto del mare e della gioia, Lia ama condurre nel sole il suo piccolo, in questo sole di Rimini che par la gioia e la salute stessa." E' figlio di Baccio. E' suo figlio ora. Con lui e per lui ha ritrovato la forza e la voglia di vivere una nuova vita.

           

Rimini, la spiaggia. Anni Trenta.

 

Ogni cosa, anche all'intorno, è sistemata.

Tattinghe, la perfida Tattinghe, abbruttisce nelle grigie prigioni italiane.

Casimiro Bacini, detto Mirino, zoppicante, con vesti stracciate ed un bastone con cui caccia i ragazzi che lo deridono, chiede l'elemosina sul sagrato del Tempio Malatestiano.

Andrea Tarsi, il fedelissimo, decorato al valore e stimato da tutta la città, lavora indefesso e continua a procreare - non ancora pago - per i migliori destini della sua Famiglia e dell'Italia.

E ... mentre Lia de Belli espia i suoi peccati d'orgoglio con un grande gesto d'amore, Baccio Guerri ed Ameride Bellini, lassù, dal cielo - gli eroi, e chi ha troppo peccato e pagato per amore, si sa, finiscono in cielo - guardano sorridenti il loro figliuolo crescere sereno con la bella, dolce e nuova mamma, laggiù, sotto il sole di Rimini.

Sotto il sole della vita e dell’Amore.


© ferruccio farina 2007


[1] Cfr.: F. Farina, Spettacoli d'aviazione a Rimini nel 1911 : la riunione aviatoria ed il "raid" Bologna-Venezia-Rimini-Bologna, in “Romagna arte e storia” a.6, n.16, 1986;  F. Farina,  Elisabeth 1790: uno storico bagno di mare in "Romagna Arte e Storia", a. 11, n. 31, 1991; F. Farina, L'invasore trasgressore : donne e croati sulla spiaggia di Rimini nel 1835, in “Romagna arte e storia”. a. 12., n. 36, 1992; F. Farina,  Dodici scudi tutto compreso, una vacanza ai bagni di Rimini da un giornale di spesa del 1834, in “Romagna Arte e Storia”, a. 12, n. 34, 1992; F. Farina,  Tra scienza e sollazzo: lettere di Paolo Mantegazza sui suoi soggiorni riminesi, in “ Romagna arte e storia”, a. 14., n. 41, 1994; F. Farina,  Danze e vacanze nella Riviera di Rimini : 1873-1947, in “Romagna arte e storia”, a. 25, n. 75, 2005.

[2] M. Campana, Danze di fronte al mare, in In Romagna”, Firenze, Vallecchi, 1931.

[3] M. Campana, Sotto il sole di Rimini, Firenze, Vallecchi, 1939.

 

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